Non sono una persona che va ai concerti.
La registrazione in studio esplicita i processi logici che l’artista segue per arrivare al processo di consegna e questo mi ha sempre affascinato, in maniera assai maggiore della carica emotiva sprigionata da un concerto di notte.
Ma ci sono due artisti, Dale Crover dei Melvins e Jeff Mangum le cui performance live sono state per me, come spettatore, in qualche modo epifaniche.
Milano, dicembre del 2015, i Melvins stanno concludendo il loro più recente tour in Europa quando Jeff Pinkus lascia cadere il basso sul pavimento, regola gli effetti sulla pedaliera e lo prende a calci finché non produce la giusta ripetizione di suoni. Lentamente ciascun musicista si allontana dal palco, il basso insistente, ancora a terra.
Quell’esecuzione mi fece riflettere sui processi di produzione che dominano la nostra comunicazione. Possiamo immaginarci delle fasi. La prima é quella di sperimentazione che é tanto più ovvia quanto immediata e involontaria.
La seconda é quella del superamento. Superamento é la consapevolezza che il brano composto oggi verrà suonato diversamente domani, é la ragion d’essere delle bozze, anche quando infinite.
La terza e quella più importante per comprendere le dinamiche di rete é la dissipazione. Attraverso la dissipazione l’opera, che fissata nel momento aveva acquisito una propria dimensione di senso, é costretta a ripiegarsi su se stessa, vana si perde a causa dell’assenza di memoria.
In rete l’ accanimento si sostituisce alla dissipazione.
L’ accanimento é il motivo per cui qualche migliaio di uomini di qualsiasi fattura sociale si riuniscono in gruppi e condividono foto delle loro mogli, fidanzate e qualche amica. Non c’é nessuno scandalo nella foto in sé, sono scatti quotidiani spesso “rubati” dagli stessi profili delle donne riprese.
Ne ha parlato Repubblica, se ne é parlato su reddit, perfino Mentana nella sua ridicola posizione da cavaliere bianco di Facebook ha urlato contro questo fenomeno.
Fenomeno che dal mio punto di vista nasce da una difficoltà di alcuni abitanti della rete ad affrontare l’assenza di dissipazione nella comunicazione online.
Le macchine non ricordano eppure non smettono di ricordarci, anzi invadono il nostro spazio in rete con un continuo susseguirsi di foto e momenti di vita delle altre persone.
Gli algoritmi non seguono il pacato moto del nostro tempo online e anzi lo spezzano, lo frammentano in attimi che hanno il ritmo di un giro della rotella del mouse, lo scorrere di un pollice.
Nei miei primi anni le mie fugaci interazioni virtuali non avevano la qualità della memoria.
Bulimico degli ascii, passavo da lunghe e sostenute conversazioni su irc al lurking di qualche mailing list, saltuariamente 4chan. Mi sentivo (e mi sento tutt’ora) obbligato ad archiviare qualsiasi riga che suscitasse un minimo di interesse o potesse avere qualche valore futuro.
Poi sono arrivate le cache, Wayback Machine, Reddit, e sembra che i contenuti non scompaiano più.
Eppure mi ci é voluto un po’ per capire che questa non é memoria, solo una forma nobile di accanimento.
Piace ai nostalgici, agli archivisti.
Spaventa a chi di Internet non vuole farsene una ragione.