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2021-12-02 15:47:14 +00:00

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<title>Caught in the Net</title>
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</section><section class="main-content"><div class="posts">
<article class="post"><header><h1 class="post-title"><a href="blog/2019/05/18/cultura-hacker/" class="u-url">Breve storia della cultura hacker</a></h1>
</header><div>
<span class="post-date">06 April 2020</span>
</div>
<br><div class="e-content entry-content">
<div>
<p>Per tre anni ho svolto una lezione sulla cultura hacker che precedentemente era tenuta da <a href="https://nexa.polito.it/people/sbasso">Simone Basso</a> al Politecnico di Torino per il corso <a href="http://rivoluzionedigitale.polito.it/">Rivoluzione Digitale</a>.
Quest'anno, data la situazione con il corona virus e dato che non voglio essere registrato (cosa inevitabile qualora organizzassi una videolezione), ho deciso di scrivere questo blogpost dove riassumo quello che solitamente espongo.</p>
<h2>Scopo della lezione</h2>
<p>Capire la cultura hacker significa entrare in contatto con quelle che sono le motivazioni e la storia di persone che hanno contribuito in maniera fondamentale alla nascita di internet e hanno presentato al mondo un modo di pensare che ancora oggi è alle radici dell'informatica come strumento di cultura di massa.</p>
<h2>Jargon File</h2>
<p>Così come oggi utilizziamo i social network per portare avanti discussioni (si spera) con una cerchia di interessati online, allo stesso modo a partire dal 1970 alcune persone si ritrovarono su usenet e mailing list: in maniera non organizzata alcuni membri di queste comunità iniziarono a raccogliere gli slang più utilizzati e le storie legate a questi modi di esprimersi.</p>
<p>Con l'espandersi della comunità il Jargon File funge da guida introduttiva ai canoni e alle etichette in uso: per questo <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Eric_S._Raymond">Eric S. Raymond</a> compì un lavoro di riorganizzazione sistematica che terminò con l'ultima edizione del 2003.</p>
<p><a href="http://catdb.org/esr">ESR</a> scrive:</p>
<blockquote>
<p>Among hackers, though, slang has a subtler aspect, paralleled perhaps in the slang of jazz musicians and some kinds of fine artists but hard to detect in most technical or scientific cultures; parts of it are code for shared states of consciousness. There is a whole range of altered states and problem-solving mental stances basic to high-level hacking which don't fit into conventional linguistic reality any better than a Coltrane solo or one of Maurits Escher's surreal trompe l'oeil compositions (Escher is a favorite of hackers), and hacker slang encodes these subtleties in many unobvious ways. </p>
</blockquote>
<p>Esempi di slang e trasformazioni del lessico:</p>
<ul>
<li>
<p>Data General -&gt; Dirty Genitals</p>
</li>
<li>
<p>IBM 360 -&gt; IBM Three-Sickly</p>
</li>
<li>
<p>Government Property -- Do Not Duplicate (on keys) -&gt; Government Duplicity -- Do Not Propagate</p>
</li>
<li>
<p>for historical reasons -&gt; for hysterical raisins</p>
</li>
<li>
<p>Margaret Jacks Hall (the CS building at Stanford) -&gt; Marginal Hacks Hall</p>
</li>
<li>
<p>Microsoft -&gt; Microsloth</p>
</li>
<li>
<p>Internet Explorer -&gt; Internet Exploiter</p>
</li>
<li>
<p>Microsoft Outlook -&gt; Microsoft Outhouse</p>
</li>
<li>
<p>Linux -&gt; Linsux</p>
</li>
<li>
<p>FreeBSD -&gt; FreeLSD</p>
</li>
<li>
<p>C# -&gt; C Flat</p>
</li>
<li>
<p>Più generale: "Ready for foodP?" (in Lisp la P sta per predicato con risultato booleano true|false)</p>
</li>
</ul>
<h3>Definizione della parola hacker</h3>
<p><img alt="Definition of hacker" src="wp-content/uploads/2019/def_hacker.jpg"></p>
<p>Del termine hacker abbiamo più definizioni, alcune indifferenti all'uso di sistemi informatici:</p>
<ol>
<li>
<p>Una persona che prova delizia dall'esplorare i dettagli di un sistema programmabile fino a raggiungerne i limiti possibili</p>
</li>
<li>
<p>una persona a cui piace programmare e lo fa per la maggior parte del tempo in maniera pratica</p>
</li>
<li>
<p>una persona capace di programmare celermente e con precisione</p>
</li>
<li>
<p>un esperto di un particolare argomento e su cui lavora spesso, ad esempio Unix Hacker</p>
</li>
<li>
<p>una persona che trova piacere nella sfida intellettuale di superare un limite in maniera creativa</p>
</li>
</ol>
<p>A me piace raccogliere queste definizioni parafrasando Larry Wall: essere un hacker non è l'obbiettivo: gli obbiettivi variano in base alle persone ed al contesto. Un hacker è qualcuno che raggiunge il proprio obbiettivo superando le norme culturali e sociali.</p>
<p>Nell'immagine appaiono due definizioni, la prima che abbiamo già analizzato, è la definizione contenuta nel Jargon File e in fondo appare quella dell'Oxford Dictionary.
Si evince che il significato della parola hacker nel gergo comune si è via via svuotato per poi andare a sostituire quello del termine cracker.</p>
<p>Un cracker è una persona che fa un uso non previsto e malevolo di un sistema informatico.
Nel Jargon File viene specificato che ci si aspetta che un hacker abbia compiuto del cracking e ne conosca le tecniche ma ma debba velocemente maturare verso forme creative più nobili.</p>
<h2>Chiave di lettura</h2>
<p>Nella storia della cultura hacker si possono distinguere tre tipi di persone:</p>
<ul>
<li>
<p>i poeti e matematici, come Donald Knuth</p>
</li>
<li>
<p>gli esperti di determinate tipologie di hardware o software, come Bruce Schneier</p>
</li>
<li>
<p>i makers, coloro che costruiscono ciò che gli altri usano, come Bill Gates.
Chiaramente moltissime delle personalità di cui parleremo rientrano in più di una di queste categoria. In tutti i casi è importante capire che sono tre approcci complementari.</p>
</li>
</ul>
<h2>Storia</h2>
<h3>In the beginning there were the real programmers</h3>
<p>La storia della cultura hacker inizia da persone che all'epoca chiaramente non si nominavano tali.</p>
<p>Persone che solitamente avevano un background in elettronica o fisica e si occupavano di batch computing, ovvero l'uso del computer in maniera non interattiva, solitamente per scopi scientifici.</p>
<p>Fra i più famosi, Seymour Cray: si dice abbia una volta scritto un sistema operativo in linguaggio macchina tramite gli switch frontali di un computer da lui progettato che funzionò al primo avvio.</p>
<p>Queste persone rientrano nella definizione di hacker che prende in considerazione l'esperienza in un campo, quella del calcolo scientifico, soppiantato poi dalla computazione interattiva.</p>
<p>Da qui parte il primo filone della storia della cultura hacker, quello universitario.</p>
<h4>I primi hacker, la tribù connessa</h4>
<p>Rimanendo all'interno delle università gli albori della cultura hacker sono estremamente legati alle macchine che queste istituzioni mettevano a disposizione degli studenti.</p>
<p>Le macchine preferite dagli hacker appartenevano alla linea dei PDP, prodotti dalla Digital Equipment Corporation (DEC).
Lo stesso PDP-11, come evidenziato da <a href="https://web.archive.org/web/20080718223330/cm.bell-labs.com/cm/cs/who/dmr/chist.html">questo racconto</a>, è stato molto influente nello sviluppo del linguaggio C.</p>
<p><img alt="pdp-11" src="wp-content/uploads/2019/pdp11.jpg"></p>
<p>Nei laboratori del MIT, nonostante utilizzassero le stesse macchine che in altre università (PDP-10 in particolare), alcuni studenti decisero di sviluppare un proprio sistema operativo, l'Incompatible Time Sharing System, con l'obbiettivo di poter utilizzare un linguaggio di più alto livello (LISP, lingua franca della cultura hacker) rispetto al sistema operativo distribuito da DEC nei PDP.</p>
<p>Questo è un atteggiamento esemplificativo della cultura hacker di quel tempo: esplorare un sistema nei dettagli per poi superarne i limiti in maniera creativa.</p>
<p>Nel frattempo stava nascendo Arpanet, per altro inizialmente costituita da computer della linea dei PDP, che forniva l'accesso a centinaia di università e laboratori di ricerca.</p>
<p>Questo permise a moltissimi hacker di superare le loro cerchie ristrette e condividere i propri lavori con una massa sempre più ampia di entusiasti.</p>
<p>Arpanet permise la propagazione di tantissimi artefatti, fra questi le prime versioni del Jargon File.</p>
<h4>La nascita di Unix</h4>
<p>Nel frattempo, nello stesso anno in cui nacque Arpanet, nei Bell Labs veniva sviluppato Unix.</p>
<p>All'epoca ogni computer forniva strumenti ed interfacce incompatibili fra loro. L'idea di Ken Thompson è stata quella di fornire un'interfaccia unificata e le stesse funzionalità su macchine diverse.</p>
<p>Per raggiungere questo scopo, ovvero un sistema operativo universale chiamato Unix, Dennis Ritchie inventò un nuovo linguaggio che potesse facilitare lo sviluppo per Thompson: C.
Anche C ha lo stesso obbiettivo di Unix, la portabilità fra macchine diverse.</p>
<p>C è sopravvissuto fino ad oggi e la filosofia di Unix, Keep It Simple and Stupid, è rimasta valida nei suoi discendenti.</p>
<h3>Freak + Phone = Phreaking</h3>
<p>Il reverse engineering è una pratica comune a molti hacker che consiste nel deconstruire un oggetto (o successivamente del software) in modo da rivelarne il funzionamento.</p>
<p>I phreaker si occupano del reverse engineering della rete telefonica, usando nel 1970 dei toni audio per emettere comandi in rete.</p>
<p>Il più celebre fra questi è John Draper che scoprì che il fischietto giocattolo fornito all'interno dei cereali Cap'n Crunch emetteva un tono a 2600 Hz, coincidentalmente lo stesso utilizzato dalle linee telefoniche per instradare le chiamate.</p>
<p><img alt="John Draper e il fischietto blue" src="wp-content/uploads/2019/draper.jpg"></p>
<p>Gli stessi Jobs e Wozniak iniziarono la loro carriera producendo delle blue box che permettevano di fare chiamate gratis o internazionali a prezzi ridotti.
L'azione di John Draper ebbe anche effetti benefici: le telefonate in quegli anni erano molto costose, specialmente da stato a stato, ed il fischietto blu permetteva a persone molto isolate in quegli anni di comunicare come mai prima di allora.</p>
<h3>Digressione: Anarco Illuminismo</h3>
<p>La cultura hacker, perlomeno fino a questa parte del racconto, raccoglie in sé ideali di due ideologie differenti.</p>
<p>Da una parte l'ideale illuminista della diffusione della conoscenza era l'obbiettivo ultimo di moltissimi hacker, forse secondo solo al piacere intellettuale.</p>
<p>Le informazioni venivano sempre condivise su Arpanet e successivamente su Internet e concesse senza alcuna restrizione.</p>
<p>Dall'altra parte questo obbiettivo veniva spesso raggiunto con pratiche anarchiche, come la distruzione o manipolazione di oggetti al fine di comprenderli (cracking e phreaking) o l'apertura forzata di laboratori per concedere a masse di entusiasti l'accesso a strumentazione costosa o rara.</p>
<p>Nonostante ciò fino ad allora non era stato compiuto nessun tentativo di formalizzare gli ideali di questa cultura.</p>
<h3>L'era del software proprietario</h3>
<p>Negli anni 80 la cultura hacker era sostanzialmente spaccata in tre gruppi diversi, dagli ideali simili ma organizzati attorno a tecnologie estremamente differenti:</p>
<ul>
<li>
<p>il gruppo di Arpanet/PDP, principalmente nato agli AI Labs del MIT, molti di loro iniziavano ad essere assunti nelle prime startup</p>
</li>
<li>
<p>il gruppo di Unix e C, che poneva le basi di internet e dei protocolli ancora oggi utilizzati</p>
</li>
<li>
<p>una serie meno organizzata di gruppetti più anarchici che si dedicavano al reverse engineering e allo studio di tecnologie e linguaggi alternativi a quelle viste precedentemente</p>
</li>
</ul>
<p>Nel frattempo iniziavano a diventare più comuni le prime macchine prodotte da Apple e Microsoft. In realtà questi ebbero un'importanza marginale nella cultura hacker in quanto erano sistemi sottoposti a continue evoluzioni imposte dall'alto e privi di strumenti per l'analisi e lo sviluppo.</p>
<p>La cultura hacker era alla fine del suo slancio iniziale e era ormai un dato di fatto che colossi come Microsoft e IBM avrebbero dominato l'industria del software e di internet.</p>
<p>Nel 1983 DEC annunciò la fine della linea dei PDP, definendo così la morte del primo gruppo.
Nel 1984 Bell fu scorporata e AT&amp;T acquisi i diritti di molti dei suoi prodotti, tra cui Unix.</p>
<p>L'hackerdom vide il pericolo che uno dei suoi più cari lavori venisse rubato da una grande compagnia e facesse la fine di tutto il software proprietario di quell'epoca.</p>
<p>Per questo in quel decennio si combatté una dura battaglia fra le prime versioni di BSD Unix, nato dalle ceneri di Unix, e la versione proprietaria di AT&amp;T.
BSD Unix si diffuse in maniera capillare, in particolare nelle infrastrutture di rete data la qualità delle sue implementazioni, ma AT&amp;T vinse molte battaglie legali appropriandosi di vari standard.</p>
<h3>Verso una prima ideologia hacker</h3>
<p>In quegli anni era ormai ovvio che senza acquisire maggiore consapevolezza molto del potere in mano a queste comunità sarebbe sparito lentamente.</p>
<p>Inoltre iniziavano ad avere risalto i primi fenomeni di cracking e l'intervento dei governi si fece più severo (benché non sia paragonabile alla copertura che tali eventi hanno oggi).</p>
<p>La soluzione proposta risiede nella congiunzione di tre idee:</p>
<ul>
<li>
<p>decentralizzazione</p>
</li>
<li>
<p>crittografia</p>
</li>
<li>
<p>software libero</p>
</li>
</ul>
<h4>Decentralizzazione</h4>
<p>La decentralizzazione è il processo in cui un'attività viene distribuita in maniera equa fra tutti i partecipanti, in opposizione ad un'organizzazione più gerarchica e autoritaria.</p>
<p>L'assunto alla base è il principio Manzoniano per cui una persona che detiene il potere si ritroverà prima o poi costretta a compiere decisioni non etiche. La soluzione è quella di ridurre il potere distribuendolo ai margini dell'infrastruttura.</p>
<p>Un'esempio di decentralizzazione è l'architettura di internet, almeno nelle sue prime forme, dove non c'è un'autorità centrale ma ogni nodo ha eguale importanza.
Un'esempio più attuale è la rete BitTorrent.</p>
<h4>Crittografia</h4>
<p>Nel 1992 nasce una mailing list (ad oggi ancora attiva) chiamata Cypherpunks, dal gioco fra i termini cypher e cyberpunk.</p>
<p>Tutte le discussioni di questo gruppo vertono sull'uso della crittografia e sul concetto di privacy e anonimato.</p>
<p>L'idea alla base (<a href="http://project.cyberpunk.ru/idb/cyberpunk_manifesto.html">Cypherpunk's Manifesto</a>) è che la privacy è necessaria per poter costituire una società aperta nell'era dell'informazione; non c'è alcuna garanzia che i governi o le corporazioni si facciano garanti di questi ideali quindi la privacy va difesa dai singoli.</p>
<p>Il gruppo ha portato alla creazione di software crittografico (fra cui Tor), protocolli per la comunicazione riservata e atti di disobbedienza civile.</p>
<p>Sempre in quegli anni, mentre il governo americano cercava di indebolire le infrastrutture di telecomunicazione con il Telecommunications Act del '96, John Perry Barlow pubblicò un manifesto: <a href="https://www.eff.org/cyberspace-independence">la dichiarazione di independenza del Cyberspazio</a>.
Nel manifesto il governo (americano) viene dipinto come un gigante di acciaio e carne e gli hacker come individui autoeletti, proveniente dal futuro, che si oppongo all'invasione di potere nel cyberspazio. Barlow evidenzia come le leggi che governano questa comunità indipendente sono del tutto estranee alle angherie e alle regole imposte con la forza del mondo prima del cyberspazio.</p>
<p>Un documento ben più estremo di quello di Barlow è il <a href="http://web.archive.org/web/20110922120111/http://www.cypherpunks.to/faq/cyphernomicron/cyphernomicon.txt">Cyphernomicon</a> di Timothy C. May, uno dei primi ingegneri di Intel e importantissima figura nella mailing list Cypherpunks.
Nel Cyphernomicon vengono discussi argomenti con una forte connotazione antagonista e vengono affrontati molti argomenti tabù.</p>
<h4>Software Libero</h4>
<p>Richard Stallman nel 1980 modificò il software di una stampante Xerox in modo da mandare un messaggio di posta elettronica agli utenti in attesa di stampa ogni qualvolta la stampante si bloccasse per qualche errore.</p>
<p>Quando nel 1980 la stampante fu sostituita Xerox si rifiutò di concedere a Stallman le facoltà necessarie per poter modificare il firmware della nuova stampante. Chiaramente questo inconveniente fu risolto con delle pratiche di reverse engineering ma questo inconveniente convinse Stallman a mettere le basi per l'ideologia del software libero.</p>
<p>Nel 1984 Stallman si licenziò dal MIT per lavorare a tempo pieno al suo progetto, GNU: una versione di Unix modificata che concedesse agli utenti finali le libertà da lui desiderate tramite l'utilizzo esclusivo di software libero.
Nel rispetto della cultura hacker GNU conquistò subito l'interesse della comunità.</p>
<p>Il progetto GNU è una collezione di software di qualsiasi tipo che rispetti le libertà garantite dalla licenza <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/GNU_General_Public_License">GPL</a>; fra questi i più famosi sono <a href="https://gcc.gnu.org/">GCC</a>, <a href="https://www.gnu.org/software/emacs/">emacs</a>, <a href="https://www.gnu.org/software/octave/">Octave</a>, <a href="https://www.r-project.org/">R</a> ma anche software di attivismo, gestione delle finanze e tant'altro.</p>
<p>Il progetto sarebbe dovuto essere completato da un kernel, HURD, che ad oggi è ancora molto instabile.</p>
<p>Nel frattempo, in Europa, Linus Torvalds, in sintonia con quell'atteggiamento di opposizione e rivolta tipico della cultura hacker, iniziò a sviluppare il kernel Linux seguendo un approccio che fu fortemente criticato dal suo professore, Andrew S. Tanenbaum. <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Tanenbaum-Torvalds_debate">Questo dibattito fu il soggetto di un'enorme flame war su usenet</a>.</p>
<p>Linus per lavorare al suo progetto stava utilizzato moltissimi degli strumenti della suite di GNU e fu contattato da Stallman per collaborare ed adottare Linux come kernel, pezzo mancante del sistema operativo GNU.</p>
<p>Questo ha portato a quello che oggi viene chiamato da molti Linux ma che in realtà andrebbe chiamato <a href="https://www.gnu.org/gnu/why-gnu-linux.html">GNU/Linux</a>.</p>
<p><img alt="Linus Torvalds e Richard Stallman" src="wp-content/uploads/2019/stl.jpg"></p>
<h2>Lo stato della cultura hacker oggi</h2>
<p>Abbiamo visto fino ad ora che ci sono stati tre filoni della cultura hacker, quello universitario, quello più amatoriale e pratico, rivolto all'exploitation e infine quello più ideologico.</p>
<p>È molto difficile cercare di interpretare la direzione di questa sottocultura (se ancora si può definire tale), specialmente per chi come me non ne ha le competenze benché si ritrovi spesso a parlare e conoscere con persone che hanno fatto proprio l'atteggiamento della cultura hacker.</p>
<p>Nonostante ciò ogni anno ho provato a trasmettere agli studenti delle mie considerazioni sulla situazione presente, da differenti punti di vista.</p>
<h3>Disobbedienza civile elettronica</h3>
<p>Non penso di dovermi soffermare ma due figure molto importanti della cultura hacker sono Edward Snowden e Julian Assange (Mendax).</p>
<p>Queste due persone e tutto quello che hanno fatto rappresentano <a href="http://www.mantellini.it/2012/08/17/perche-assange-e-internet/">ciò che il potere teme di internet</a>.</p>
<p>Inoltre, riguardo i fatti recenti:</p>
<blockquote>
<p>A un certo punto su Julian Assange è diventato impossibile dire qualsiasi cosa. È semplicemente accaduto, non è colpa di nessuno. Da un certo momento in avanti, dire qualcosa di sensato su Assange, qualcosa di non ovvio e cialtrone, di vagamente correlato ad unidea minima di verità sulla vita e le gesta dellhacker australiano dai capelli argentati è diventato non solo complicato ma perfino inutile. Troppe cose nel frattempo si erano sommate, troppe bugie, troppe interpretazioni di segno opposto si erano saldamente ancorate alla biografia di un uomo indubitabilmente unico, i cui tratti biografici e di comportamento hanno disegnato fin dallinizio, a complicare ulteriormente le cose, i tratti della stranezza, se non quelli del disturbo psichico.
<a href="https://www.ilpost.it/massimomantellini/2019/04/11/cosa-potremo-dire-di-assange/">Mantellini sul Post</a>.</p>
</blockquote>
<p>I primi due anni ho provato a concentrarmi su queste domande:</p>
<ul>
<li>
<p>la cultura hacker ha ancora una componente di forte antagonismo nei confronti del potere stabilito?</p>
</li>
<li>
<p>Sono ancora possibili atti come quelli degli attivisti del cypherpunk?</p>
</li>
</ul>
<p>Quando si parla di Assange e Snowden si parla di politica e media, ovvero potere e controllo.</p>
<p>Prima dell'arrivo di internet e dell'informatica il cuore degli organismi di potere e controllo era facile da individuare.</p>
<p>Penso al fascismo, dove come spiega Mosse in "Il fascismo. Verso una teoria generale", l'architettura stessa aveva carattere intimidatorio.</p>
<p>Gli "antagonisti" del potere non dovevano fare altro che riunirsi in qualche maniera organizzata e far fronte a queste strutture, fisicamente affrontare la loro solidità.
È il motivo per cui nella cultura pop V per Vendetta termina con l'esplosione del parlamento e Fight Club con il crollo delle banche.</p>
<p>Il regime collassa una volta che l'opposizione ne ha distrutto la fortezza in cui risiede.</p>
<p>Questo ad oggi non è più vero, gli edifici benché siano ancora visibili si sono svuotati e il potere si muove come desidera attraverso un flusso ininterrompibile di bits.</p>
<p>Così quando nel <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/2016_Turkish_coup_d%27%C3%A9tat_attempt">2016</a> i militari turchi riuscirono a far fuoco sul parlamento e prendere il controllo di radio e televisioni, Erdogan, fisicamente non presente, con una semplice chiamata Facetime riuscì a recuperare il controllo della situazione prendendo contatto e mobilitando la resistenza.</p>
<p>Possiamo a questo punto provare ad affermare che il potere risieda nelle persone e non più nelle strutture fisiche.</p>
<p>Eppure quando nell'aprile del 2018 il congresso statunitense ha affrontato Zuckerberg con un documento di più di 1000 pagine, il potere di Facebook non era presente neanche sotto la forma fisica di un ragazzo di trent'anni.</p>
<p>Questo ce lo dimostra il fatto che a domande come:</p>
<ul>
<li>
<p>"Did Facebook deceive its users?"</p>
</li>
<li>
<p>"if I delete my account, how long does Facebook keep my data?"</p>
</li>
<li>
<p>"Does Facebook use cross-device tracking?"</p>
</li>
<li>
<p>"What data is being sold?"</p>
</li>
<li>
<p>"Is Facebook censoring specific groups?"</p>
</li>
<li>
<p>"Whats Facebooks reach beyond its website?"</p>
</li>
<li>
<p>"How much information does Facebook have on non-Facebook users?"</p>
</li>
</ul>
<p>Zuckerberg ha potuto affermare che non conosce la risposta o che può chiedere al suo team e rispondere in futuro.</p>
<blockquote>
<p>Whether you know it or not, if you are a hacker, you are a revolutionary</p>
</blockquote>
<p>Una volta compreso ciò queste parole di Doctor Crash su <a href="http://phrack.org/issues/6/3.html">phrack</a> appaiono ingenue.</p>
<p>Gli hacker combattono per il libero accesso all'informazione senza poi discutere di come queste nuove conoscenze andrebbero applicate.</p>
<p>Sempre Doctor Crash scrive:</p>
<blockquote>
<p>There is one last method of this war against computer abusers. This is a less subtle, less electronic method, but much more direct and gets the message across. I am speaking of what is called Anarchy. Anarchy as we know it does not refer to the true meaning of the word (no ruling body), but to the process of physically destroying buildings and governmental establishments. This is a very drastic, yet vital part of this "techno-revolution." </p>
</blockquote>
<p>Questo, complice la cultura hacker, oggi non è più possibile.</p>
<p>Per questo, la risposta alle prima domanda è no, la cultura hacker non ha mantenuto, A MIO PARERE, una componente antagonista. Questo perché, azioni di protesta come quelle degli hacktivisti alla Anonymous, o come nel più romanzato Mr Robot, ammontano a nulla per i motivi sopracitati. Lo stesso leak dei documenti della NSA compiuto da Snowden ha avuto effetti <a href="https://web.archive.org/web/20150810184125/https://www.washingtonpost.com/news/volokh-conspiracy/wp/2015/04/09/edward-snowdens-impact/">discutibili</a> e di sicuro non ci ha portati ad un cambiamento di tendenza nei confronti della <a href="https://www.valigiablu.it/freedom-net-censura-sorveglianza/">tecnosorveglianza</a>.</p>
<h3>Opensource e Free Software</h3>
<p>Nell'ultima lezione, anno 2019, mi son concentrato maggiormente sulla cultura del software libero.</p>
<p>Nel 2019 il termine opensource ha soppiantato quello di software libero allo stesso modo di come il termine hacker è stato corrotto mediaticamente andando a ricoprire il significato di cracker.</p>
<p>Stallman nel 2007 già ci avvertiva che il software opensource manca l'obbiettivo:</p>
<blockquote>
<p>I due termini descrivono all'incirca la stessa categoria di software. Ma si basano su valori fondamentalmente diversi.
L'open source è una metodologia di sviluppo; il software libero è un movimento sociale. Per il movimento per il software libero, il software libero è un imperativo etico, il rispetto essenziale della libertà degli utenti. Al contrario la filosofia dell'open source pensa a come "migliorare" il software soltanto da un punto di vista pratico. Dice che il software non libero è una soluzione non ottimale. Spesso le discussioni sull'“open source” non considerano quel che è giusto o sbagliato, ma solo il successo e la popolarità. </p>
</blockquote>
<p>Quando ancora GNU/Linux girava sotto forma di dischi o floppy Steve Ballmer diceva che il software libero è cancro o comunismo.</p>
<p>Vent'anni dopo lui stesso afferma di aver sbagliato giudizio e che l'opensource ha divorato il mondo: non solo quasi tutto lo sviluppo avviene utilizzando tool opensource ma banche, data center, agenzie governative, perfino le auto, usano software libero, almeno in parte se non completamente.</p>
<p>Basta fare un giro su <a href="https://stackshare.io/stacks">stackshare.io</a> per avere un'idea di quanto i colossi del web siano dipendenti dal software opensource.</p>
<p>Inoltre moltissime startup o aziende fondano il loro business sul modello "open-core", ovvero il fornire un'edizione del proprio prodotto come software libero e una versione commerciale solitamente sviluppata a partire dalla precedente.</p>
<p>Ne sono un esempio gitlab, redislab e elasticsearch.</p>
<p>Nonostante l'opensource abbia avuto un successo incomparabile nelle "core tecnologies", come librerie, tooling e linguaggi di programmazione, ha fallito nel liberare l'utente finale, obbiettivo con il quale era nato.</p>
<p>Questo lo dimostra il fatto che i servizi forniti dalle SaaS (software as a service) e i grandi servizi di cloud non trasmettono nessuna delle quattro libertà del software libero fino all'utente finale e hanno catturato il potenziale radicale del software libero per renderlo un mero strumento del tutto insignificante e sconosciuto al destinatario del servizio.</p>
<h2>Conclusione: come diventare un hacker</h2>
<p>ESR <a href="http://www.catb.org/~esr/faqs/hacker-howto.html">mantiene da anni</a> una breve guida a come diventare un hacker, organizzata su cinque punti:</p>
<ol>
<li>
<p>Il mondo è pieno di problemi affascinanti che aspettano di essere risolti</p>
</li>
<li>
<p>Nessun problema andrebbe risolto due volte</p>
</li>
<li>
<p>La noia e la fatica sono malvagi</p>
</li>
<li>
<p>La libertà è una buona cosa</p>
</li>
<li>
<p>Le maniere e la forma non mascherano le competenze</p>
</li>
</ol>
<h2>Appendice: Hacker oggi</h2>
<p>Immagino che al termine di questa lettura sorga un dubbio: dove sono andati a finire gli hacker?
O meglio, una persona nata inevitabilmente nell'era del <a href="https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/capitalismo-della-sorveglianza-come-salvarci-dalle-nuove-derive-delleconomia-globale/">capitalismo della sorveglianza</a> dove può imparare e poi mettere in pratica o far sue gli ideali propri della cultura hacker?</p>
<p>Nutro molte pochissime speranze nei confronti del web che a mio avviso è morto nel 1995 quando emersero i primi siti a scopo di lucro. Oggi il web è diventato un agglomerato di isole irraggiungibili le une dall'altre (i famosi walled garden) dove in molti casi si formano comunità di utenti che senza originalità propongono gli stessi contenuti o ripetono le stesse domande. Ne è un esempio reddit la cui qualità è andata degradando di anno in anno nel tentantivo di essere il più accogliente possibile nei confronti dei nuovi utenti. Quando l'effetto <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Eternal_September">eternal september</a> non dovesse bastare, masse di "growth hacker", uffici di marketing o giganti di metallo e carne si impossessano degli ultimi angoli inesplorati del web per renderli una palude pubblicitaria, come è successo a:</p>
<ul>
<li>
<p><a href="https://francescomecca.eu/blog/2018/3/27/addio-reddit/">reddit</a></p>
</li>
<li>
<p>hacker news</p>
</li>
<li>
<p>medium</p>
</li>
<li>
<p>github</p>
</li>
<li>
<p>yahoo</p>
</li>
<li>
<p>youtube</p>
</li>
<li>
<p>la lista è infinita</p>
</li>
</ul>
<p>Come già affermato per i sistemi Microsoft ed Apple, l'assenza di comunità hacker nel web è dovuto alle forti imposizioni (motivate dal profitto) e l'impossibilità di riuso dei costumi e delle conoscenze sviluppati una volta che la piattaforma cambia.</p>
<p>Il catalizzatore della cultura hacker sembra essere in questi anni il carne-spazio, luoghi e situazioni sovversive in cui ho avuto la fortuna di conoscere moltissimi hacker. Consiglio di partire dagli hacklab, gli incontri a cadenza annuale (hackmeeting, offdem), gli spazi occupati e i fablab. Talvolta si ha fortuna anche nelle università, specialmente se ci sono gruppi che partecipano ai Capture The Flag.
Quando si vuole tornare nel cyberspazio è pieno di posti felici (e soprattutto interessanti) che si mantengono ancora distanti dai germi del web:</p>
<ul>
<li>
<p>irc</p>
</li>
<li>
<p>le mailing list</p>
</li>
<li>
<p>i tracker privati</p>
</li>
<li>
<p>forum e blog su reti alternative (Tor, I2P, Freenet)</p>
</li>
<li>
<p>I cyberspazi di incontro delle stesse comunità sovversive: <a href="https://www.autistici.org/">autistici</a>, <a href="blog/2019/05/18/cultura-hacker/riseup.net/">riseup</a>, <a href="blog/2019/05/18/cultura-hacker/disroot.org">disroot</a></p>
</li>
</ul>
<!-- La messa é finita --><!-- Andate a fanculo -->
</div>
</div>
</article><br><hr>
<br><article class="post"><header><h1 class="post-title"><a href="blog/2019/03/06/Dconf-2019/" class="u-url">Dconf 2019</a></h1>
</header><div>
<span class="post-date">06 March 2019</span>
</div>
<br><div class="e-content entry-content">
<div>
<p>Quest'anno molto del mio tempo passato al pc e` stato investito per D e la sua community.
I miei sforzi nell'imparare questo linguaggio sono confluiti nella partecipazione al <a href="https://dlang.org/blog/symmetry-autumn-of-code">SAOC</a> con il mio amico e collega <a href="https://fragal.eu">Francesco Galla`</a>.</p>
<p>Accompagnero` Francesco all'edizione del 2019 della <a href="https://dconf.org/2019/index.html">DConf</a> che si terra` dall'otto all'undici marzo a Londra.</p>
<p>See you there!</p>
</div>
</div>
</article><br><hr>
<br><article class="post"><header><h1 class="post-title"><a href="blog/2018/10/2/eduhack-coventry/" class="u-url">eLearning in the age of Social Networks, the EduHack Platform</a></h1>
</header><div>
<span class="post-date">26 October 2018</span>
</div>
<br><div class="e-content entry-content">
<div>
<p>This is the revised transcript of my <a href="http://conf.owlteh.org/contributions/published/elearning-in-the-age-of-social-networks-the-eduhack-model/">talk</a> at the <a href="https://www.conf.owlteh.org/">OWLTEH Conference 2018</a> at the Coventry University.</p>
<p><img alt="Me, giving the talk" src="wp-content/uploads/2018/coventry.jpg"></p>
<h2>In the beginning there was the LMS</h2>
<p>Learning Management Systems appeared on the market around the beginning of 2000.</p>
<p>Since then they have been the foundation of the modern education sector, ranging from the basic functionalities of activity tracking, grades and analytics for the students (and in some cases the parents) to complex environments for remote education or even experimental pedagogies (e.g. <a href="https://fare.polito.it">FARE</a> that provides hospitalized students means to access the physical class and labs).</p>
<p>In the last five years commercial LMS reduced the pace of their progress, while providing better accessibility and decentralization.</p>
<p>The core of their principle hasn't changed. In this talk I am going to highlight their problems and outline a vision for a different approach that is supported by modern technologies.</p>
<h3>The problem of traditional LMS</h3>
<p>The design of a Learning Management System is based mainly around closed structures, such as very strict roles management and access management.</p>
<p>In a scenario where a professor might want to bring a domain expert during classes and online, a traditional LMS doesn't provide any kind of facilities for things such a role (in terms of login rights, rights towards other users, moderation capabilities).</p>
<p>There are many corner cases that lack a general method that allows users to expand the features of an LMS, especially when an institution lacks the technical means to bring development to such platforms.</p>
<p>Moreover, traditional LMS are highly gerarchic and foster an epistemology of "possession": learners are defined by the content that they "possess", the course they subscribed to, the material they downloaded. The educator is forced to be an authoritative source of knowledge that needs to direct the activity of the learners by having students pull the knowledge through an online portal. The flow is unidirectional and content centric.</p>
<p>In my experience instructors produce delivery-centered pedagogies because LMS lacks the flexibility to be adapted to learners, especially when they are used by a variety of instructors (e.g.: all of the professors of a UNI). While this model better reflects the traditional classroom I would argue that modern users are not used to this kind of dynamics in modern online communities.</p>
<p>You can learn more about the friction in the usage of traditional LMS in the following papers:</p>
<ul>
<li>
<p>Rubin, Fernandes, Avgerinou, &amp; Moore, 2010</p>
</li>
<li>
<p>Naveh, Tubin, &amp; Pliskin, 2010</p>
</li>
<li>
<p>Parry, 2009; Sanchez-Franco, 2010</p>
</li>
<li>
<p>Beebe et al., 2010</p>
</li>
</ul>
<h3>Hacking Education with Digital Pedagogies</h3>
<p>What happens when education gets "hacked" and transitions in the digital world?
This is what we envision within the realms of the EduHack project:</p>
<ul>
<li>
<p>"Content to consume" becomes "content to consume to produce content": learners become knowledge builders because producing intellectual outputs is the logical continuation to learning.</p>
</li>
<li>
<p>The environment goes from content centric to learner centric: teachers must be comfortable with the fluidity of such new roles.</p>
</li>
<li>
<p>The distribution of information goes from knowledge-push to knowledge-pull: learners actively seek out educational material and gets rewarded.</p>
</li>
</ul>
<p>In the academia the closest study in this direction has been:
eLearning 2 0 and new literacies are social practices lagging behind, W.-Y. Lim et al.</p>
<h4>What do we gain with OSNs</h4>
<p>In the Web 2.0 landscape and in particular for younger generations, Online Social Networks (OSNs) have strong potential for building and mantaining strong connections and create an informal learning environment that collects and puts into actions the ideas that I have described.
I wont rehash widely known statistics, but it must be said that nowadays OSNs, in particular Facebook, Youtube and Twitter have a high rate of penetration towards students of upper secondary and post secondary education. For younger students OSNs are their primary means of communication while dominating their usage of the internet overall.</p>
<ul>
<li>
<p>Using Social Networks Technology to Enhance Learning in Higher Education: a Case Study using Facebook.</p>
</li>
<li>
<p>Web-Based Learning Platforms integratins Social Networking for Design Educations at High Schols in China.</p>
</li>
<li>
<p>Using online social networking for teaching and learning: Facebook use at the University of Cape Town.</p>
</li>
</ul>
<h3>Case studies: Facebook as an alternative LMS</h3>
<p>Different case studies analyzed the possible uses of Facebook as a social LMS.
The following is a list of the positive and negative results of such studies grouped by User Experience Design (UX), Behavior of the users and Quantitative Participation.</p>
<h5>UX</h5>
<p>Advantages:</p>
<ol>
<li>
<p>Photos and discussions are presented better than traditional LMS.</p>
</li>
<li>
<p>User's walls, private messages and comments are considered just communication tools.</p>
</li>
<li>
<p>Users reported that the technologies used for sharing class related material was familiar.</p>
</li>
<li>
<p>Educators reported that Facebook was useful to answer questions in bulk.</p>
</li>
<li>
<p>Educators reported that given the capabilities above, they saved a lot of time that otherwise would have been spent dealing with class related communications and questions.</p>
</li>
</ol>
<p>Disadvantages:</p>
<ol>
<li>
<p>Users where skeptical in writing long essays.</p>
</li>
<li>
<p>Friction when used as a formal learning platform.</p>
</li>
<li>
<p>Private platforms have issues related to accessibilities and language. Communication was done in english even if that wasn't the case before;</p>
</li>
<li>
<p>Facebook doesn't support a wiki system.</p>
</li>
<li>
<p>There are no tools for group management.</p>
</li>
<li>
<p>There are no tools for sending bulk messages and group notifications.</p>
</li>
<li>
<p>No capabilities for deletion and archival of material.</p>
</li>
<li>
<p>No support for common multimedia (such as powerpoint slides or pdf).</p>
</li>
<li>
<p>Maximum characters limit for posts.</p>
</li>
</ol>
<h5>Behavior of the users</h5>
<p>Advantages:</p>
<ol>
<li>
<p>Users reached to older students and befriended them.</p>
</li>
<li>
<p>Users reported that they felt less pressure online.</p>
</li>
<li>
<p>Educators found that boldlier students asked more questions because of absense of face to face shyness.</p>
</li>
<li>
<p>Students help each other in answering questions</p>
</li>
<li>
<p>Six people from prior classes idependently requested to join the group</p>
</li>
<li>
<p>Constant and more accurate feedback for teachers</p>
</li>
<li>
<p>Constant communication for teachers</p>
</li>
<li>
<p>They got to know classmates better</p>
</li>
<li>
<p>In heavily moderated OSNs, few users find disappropriate contents.</p>
</li>
<li>
<p>In a comparison Facebook's discussion were more numerous than Moodle's discussions even when people were not allowed to be friends</p>
</li>
</ol>
<p>Disadvantages:</p>
<ol>
<li>
<p>Addiction</p>
</li>
<li>
<p>Students reported difficulties to get used to the new online persona.</p>
</li>
<li>
<p>Miscommunication: many prefer face to face interaction to express views. This maybe because they are used to it in traditional classrooms.</p>
</li>
<li>
<p>Some people say that they don't feel safe on FB (this is even more common when interviewing master students).</p>
</li>
<li>
<p>Some students worry that their personal life could be discovered and misjudged by tutors.</p>
</li>
<li>
<p>Students avoided to befriend educators and lecturers in order to hide their private lives.</p>
</li>
<li>
<p>During the research period, no student befriended the interviewed lecturers.</p>
</li>
<li>
<p>Students did not accept friend requests from lecturers.</p>
</li>
</ol>
<h5>Quantitative Participation</h5>
<p>Advantages:</p>
<ol>
<li>
<p>Overall the students are more responsive to issues and questions raised in classes.</p>
</li>
<li>
<p>There is a higher number of ongoing discussions in any period.</p>
</li>
<li>
<p>Users log to Facebook for class related activities also during vacations (while the university LMS was almost not used).</p>
</li>
<li>
<p>Very active participation: more than 90% of the students used Facebook outside of classes for study related activities.</p>
</li>
<li>
<p>Improved discussion outside of classes.</p>
</li>
<li>
<p>Students post class related material.</p>
</li>
<li>
<p>Creation of many User Generated Content.</p>
</li>
</ol>
<p>There are no relevant reported challenges regarding participation and usage patterns.</p>
<h3>Where do we go from here?</h3>
<p>I want to highlight some other threats that an OSN such as Facebook poses to the Open Web.</p>
<ul>
<li>
<p>The issue of privacy: forcing students to use a service that mines and sells their data is <strong>unethical</strong>.</p>
</li>
<li>
<p>Identity pollution: the open web is based on the principle of pseudoanonimity, users should be capable of build a prism of different online identity for different communities and environments.</p>
</li>
<li>
<p>Studies report Facebook as more appropriate for younger students, but younger people have higher rates of addiction to OSNs as well.</p>
</li>
<li>
<p>Addicted OSNs users have a lower GPA.</p>
</li>
<li>
<p>20% of college students reported being stalked on OSNs.</p>
</li>
</ul>
<p>While the reported results about learners and educators participation in the usage of OSNs as LMS is astounding, forcing students to signup and give away their sensible data to private services is debatable and could be considered unethical.</p>
<h2>The EduHack model</h2>
<p>We need to develop a new LMS that is respectful of the Open Web standards without providing any friction to the users.</p>
<p>For this reasons, as part of the EduHack Project, we are developing the EduHack Knowledge Sharing Platform.</p>
<p>The EduHack Knowledge Sharing Platform was born around the assumption that many of the advantages in terms of user engagement and group dynamics</p>
<p>provided by OSNs could be replicated by adopting their widely known design patterns and mimicing closely the UX.</p>
<p>At the core of the platform there are the founding principles of the Open Web.</p>
<p>For this reason no data is collected of mined. Users are provided with an account that could be separated from their different online persona.</p>
<h5>A platform for collaborative learning</h5>
<p>The EduHack Knowledge Sharing Platform is divided into two parts.</p>
<p>The personal area is user centric and provides a window into the activities of the user in the form of multimedia blogposts.</p>
<p>The user can create and manage different roles for external editors to his private area. By default no other user is allowed to post a "story" in his personal area, but other users can be added as team members and can manage group works in different blogs.</p>
<p>Learners are expected to elaborate and remix what they learned (e.g. from online classes or MOOCs).</p>
<p>The public area is modelled after the UX of Reddit and it is divided into diffent sections (e.g.: mathematics, IT, discrete phisics, etc...), each providing a wiki.</p>
<p>Learners can subscribe to different sections or different users and be notified of new content or interactions.</p>
<p>Every user is allowed to post a link, an essay or any other widely adopted multimedia artifact to any section. Every user can positively vote and comment every post made. Comments can be positively voted as well.</p>
<p>Comments and content can be ordered by a custom algorithm (Wilson score interval) or chronologically.</p>
<p>Educators have a custom flair, can create new sections and moderate them. Moderation consists in changing links, removing posts or comments. Vote cannot be altered.</p>
<h3>Conclusions</h3>
<p>The EduHack Knowledge Sharing Platform is an ongoing effort to evolve LMS and augment them with social features and modern group dynamics.</p>
<p>The UX is modeled after a widely used social network without sacrificing consolidated approaches from traditional LMS.</p>
<p>We want to provide with this model an ethically sound framework for user centric, knowledge-pull pedagogies.</p>
<h3>References</h3>
<ul>
<li>
<p>Using online social networking for Teaching and learning: Facebook use at the University of Cape Town, Tanja E Bosch.</p>
</li>
<li>
<p>The myths about e-learning in higher education, James Kariuki Njenga and Louis Cyril Henry Fourie</p>
</li>
<li>
<p>Group Formation in eLearning-enabled Social Networks, Steffen Brauer and Thomas C. Schmidt </p>
</li>
<li>
<p>eLearning 2.0 and new literacies: are social laggin behind, Wei-Ying Lim, Hyo-Jeong So and Seng-Chee Tan</p>
</li>
<li>
<p>Using the Facebook group as a learning management system: An exploratory study, Qiyun Wang, Huay Lit Woo, Choon Lang Quek, Yuqin Yang and Mei Liu</p>
</li>
<li>
<p>Using Social Networking Technology to Enhance Learning in Higher Education: A Case Study Using Facebook, Peter Ractham and Daniel Firpo</p>
</li>
<li>
<p>Students and teachers use of Facebook, Khe Foon Hew</p>
</li>
<li>
<p>The future of e-learning: a shift to knowledge networking and social software, Mohamed Amine Chatti and Matthias Jarke</p>
</li>
<li>
<p>Using Facebook as course management software: a case study, Elizabeth M. LaRue</p>
</li>
<li>
<p>Electronic Social Media in Teaching: Usages, Benefits, and Barriers as Viewed by Sudanese Faculty Members, Ahmed Yousif Abdelraheem and Abdelrahman Mohammed Ahmed</p>
</li>
<li>
<p>The Use of Social Networking in Education: Challenges and Opportunities: Ashraf Jalal Yousef Zaidieh</p>
</li>
<li>
<p>Findings on Facebook in higher education: A comparison of college faculty and student uses and perceptions of social networking sites, M.D. Roblyer, Michelle McDaniel, Marsena Webb, James Herman and James Vince Witty e,4</p>
</li>
<li>
<p>Online social networks: Why do students use facebook? Christy M.K. Cheung, Pui-Yee Chiu and Matthew K.O. Lee</p>
</li>
<li>
<p>e-Learning: The student experience, Jennifer Gilbert, Susan Morton and Jennifer Rowley</p>
</li>
</ul>
</div>
</div>
</article><br><hr>
<br>
</div>
<div class="pagination">
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</div>
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